
L’emergenza, la pandemia e la quarantena a cui siamo sottoposti per colpa del Coronavirus ha impattato enormemente il tessuto industriale italiano, con la conseguenza che alcune attività essenziali potrebbero venire meno. Uffici, negozi e fabbriche chiuse hanno infatti generato una paurosa flessione nei consumi di elettricità, e molte centrali termoelettriche che lavorano solitamente a pieno regime per garantire un servizio continuativo, ed ora vengono spente per risparmiare energia elettrica.
Gli effetti hanno iniziato a vedersi anche sulla richiesta di energia elettrica, ma solo a partire da lunedì 9 marzo, dopo il secondo decreto governativo. I consumi elettrici complessivi in Italia (dati Terna) sono passati da 8.831 GWh dall’11 al 20 marzo 2019 a 7.815 GWh del periodo 11-20 marzo 2020, con un decremento del 11,5%. In termini assoluti 1.115 GWh richiesti in meno. In particolare, viene evidenziato che in un confronto tra le settimane immediatamente precedenti ai provvedimenti (17-23 febbraio 2020 e 2-8 marzo 2020) e quella immediatamente successiva al secondo decreto (9-15 marzo 2020), che ha coinvolto tutto il paese, la riduzione del carico richiesto dalla rete nazionale è stata in media di circa 3 GW (e dell’8% circa rispetto ad entrambe le settimane, con valori della temperatura media in lieve rialzo (circa 2 °C).
Come scrive il Sole24Ore, la Fondazione Edison ha rilevato un calo medio di -24,1% di consumo elettrico italiano riferito a tutto il mese di marzo e la conseguenza di questa progressiva ritirata è che una rete con meno supporto è più esposta agli eventuali picchi e ai possibili disastri naturali. In questa fase pertanto potremmo subire un blackout elettrico più di quando siamo a pieno regime con le centrali. Ma non bastano i numeri della crisi economica a spiegare il perché siamo esposti a un possibile blackout elettrico, poiché è la debolezza delle nostre infrastrutture a preoccupare maggiormente. Oggi abbiamo tantissime piccole centrali elettriche che in parte sono basate su fonti rinnovabili e producono materia energia in maniera incostante. Se alcune di quelle più potenti vengono spente è ovvio che la rete non sarebbe più pronta a gestire eventuali problemi sull’infrastruttura. Purtroppo non si vede ancora una luce all’orizzonte, poiché i prezzi bassissimi della materia energia rilevati costantemente dal Gestore del mercato elettrico non favoriscono la ripresa. Da sole le fonti rinnovabili contribuiscono mediamente per il 20% alla produzione nazionale, ma ciò non basta a coprire il fabbisogno energetico in situazioni di stress. Gran parte delle centrali termoelettriche preferiscono rimanere spente e con il freno a mano alzato e il crollo dei prezzi del carbone e del petrolio stanno fiaccando gli investimenti nella creazione di energia da fonti rinnovabili.
Un’altra analisi, apparsa su Rivista Energia e curata da Ettore Bompard, Stefano Corgnati, Carmelo Mosca del Politecnico di Torino, valuta l’impatto dei provvedimenti di lockdown sul carico elettrico nazionale. Gli autori dell’analisi fanno notare anche che il diverso comportamento nella domanda e nell’offerta ha avuto ripercussioni anche sui prezzi dell’energia, con un PUN medio nelle settimane considerate che si riduce da 39 €/MWh a, rispettivamente, 37,3 e 36,2 €/MWh.
Il quadro, purtroppo, non è destinato a mutare nelle prossime settimane, almeno siano all’avvio di una ripresa parziale delle attività produttive.