Le polveri sottili, più correttamente chiamate particolato (PM dall’inglese Particulate Matter), ovvero l’insieme delle sostanze sospese nell’aria che hanno una dimensione fino a 500 nanometri (un nanometro è la milionesima parte di un millimetro), negli ultimi anni sono diventate una problematica rilevante delle aree urbane viste le dirette conseguenze che determinano sulla salute delle persone e sull’ambiente in generale.
Nel dettaglio, trattasi di fibre, particelle carboniose, metalli, silice, inquinanti liquidi e solidi che per cause naturali o per le attività dell’uomo, finiscono in atmosfera. Le cause naturali (terra, sale marino, pollini, eruzioni vulcaniche) ci sono sempre state, quelle dovute all’uomo (processi industriali, traffico, riscaldamento, inceneritori) sono aumentate, considerevolmente ed esponenziale negli ultimi decenni, con l’aumento della popolazione e i processi di urbanizzazione ed industrializzazione, sommandosi quindi alle prime. Le polveri più pericolose sono quelle con diametro inferiore a 10 nanometri, il cosiddetto PM10, il cui 60% è composto da particelle con dimensioni inferiori a 2,5 nanometri. Il PM2,5 è la frazione più leggera, quella che rimane più a lungo nell’atmosfera prima di cadere al suolo e che poi viene respirata dall’uomo. Sono proprio queste particelle a entrare più in profondità nei nostri polmoni, aumentando il rischio di patologie quali: asma, bronchiti, enfisema, allergie, tumori, problemi cardio-circolatori. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2016 circa 4,2 milioni di persone al mondo sono morte prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico. Inoltre, il 91% della popolazione mondiale vive in luoghi dove i livelli di qualità dell’aria non soddisfano i limiti fissati dall’Organizzazione stessa.
Generalmente, allorquando in una città i livelli di polveri sottili salgono oltre le soglie di pericolo, evento che si verifica ormai di regola in caso di condizioni meteorologiche di stabilità atmosferica, i sindaci intervengono con il blocco del traffico. Una misura che, in concreto, serve a poco, un palliativo che non incide e migliora lo stato di fatto. A corroborare ulteriormente, tale affermazione vi è uno studio dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Secondo lo studio, infatti, le cause maggiori dell’inquinamento da particolato PM 2,5, nel nostro Paese, sono il riscaldamento e gli allevamenti intensivi di animali, rispettivamente con il 38% e il 15,1%, seguite dall’industria con l’11,1%. I veicoli sono al quarto posto con il 9%. Il calcolo eseguito dall’Ispra ha tenuto conto del particolato primario e secondario insieme, il primario è quello direttamente emesso dalle sorgenti inquinanti (ad esempio, dalle canne fumarie, dai tubi di scappamento delle auto): addirittura il 59% è dovuto al riscaldamento, il 18% alle auto, il 15% all’industria, mentre il contributo degli allevamenti intensivi è irrisorio (l’1,7% di PM 2,5). Ma questa, di fatto è una fotografia parziale della realtà. Le polveri, infatti, si formano anche in atmosfera a causa dei processi chimico-fisici che coinvolgono le particelle già presenti. In questi casi si parla di particolato secondario, decisamente più incisivo, e le percentuali cambiano, il contributo degli allevamenti intensivi al PM2,5 passa così dall’ 1,7% al 15,1%, diventando la seconda fonte di inquinamento totale da polveri, dietro gli impianti di riscaldamento. E’ complesso, e soprattutto non breve temporalmente, l’intervento sugli allevamenti intensivi, ciò non toglie che si stiano cercando delle soluzioni anche a livello statale. Viceversa, fondamentale è intervenire in ambito urbano con politiche di “governance” ambientale; anche in quest’ottica, da alcuni anni l’Unione Europea ha emesso delle Direttive, citiamo le due ultime: la Direttiva (UE) 2016/2284 sulla riduzione delle emissioni degli inquinanti atmosferici (recepita con il D.Lgs. n. 81 del 30 maggio 2018) e la recente Direttiva (UE) 2018/844 sull’efficienza energetica degli edifici.
Di fronte al dato dell’utilizzo degli impianti di climatizzazione quale causa principale, il 38% come visto, delle emissioni di particolato nell’atmosfera, è essenziale la piena applicazione della normativa vigente in materia.
Un corretto censimento, accertamento e controllo dello stato di esercizio e manutenzione degli impianti termici, comporta, a una volta a regime (ovvero dopo due campagne ispettive, a cadenza biennale, quindi dal sesto anno dall’avvio del servizio) tangibili risultati di riduzione delle emissioni di polveri sottili, nonché delle emissioni dei gas-serra, inoltre un contenimento dei consumi di energia, e non da ultimo, la tutela della salute pubblica grazie ad una maggiore sicurezza degli impianti.
L’applicazione della normativa, quindi, accompagnata ad un uso intelligente degli impianti di riscaldamento, è lo strumento per combattere l’inquinamento da polveri sottili nella aree urbane, rappresentando altresì una parte significativa del complesso di azioni per migliorare l’efficienza energetica. Ricordando, come quest’ultima sia un’azione, essenziale, indispensabile, per affrontare un’altra problematica, se non vera e propria emergenza dei nostri tempi: la lotta ai cambiamenti climatici.